Si va consolidando, in tema di ammissibilità dell’appello – e cioè di “filtro” ex art. 342 c.p.c. – il filone interpretativo più favorevole all’appellante, inaugurato dalle Sezioni Unite della S.C. con la sentenza 16 novembre 2017, n. 27199.
Infatti, le prime pronunce intervenute dopo la riforma del 2012, hanno dato ben più di un’impressione che diverse Corti d’Appello avessero inteso la modifica come un incentivo all’utilizzo surrettizio di uno strumento “deflattivo” dei procedimenti di impugnazione. Tuttavia – volendo dare a Cesare quel che è di Cesare – va detto che lo “zelo” dimostrato in molti casi dai giudici del gravame nel brandire le pronunce di inammissibilità come una sciabola si fondava indubbiamente su una tecnica del legislatore tutt’altro che commendevole, visto che ormai da tempo siamo abituati ad osservare improvvisati ministri della giustizia mettere mano alle norme di rito e di merito in maniera impressionistica, denotando un’assoluta mancanza di cultura giuridica.
La sentenza in commento, come accennato, conferma il nuovo indirizzo inaugurato dalle SS.UU.: un indirizzo che, perlomeno, espunge dall’ordinamento quell’autentico “mostro” giuridico del “progetto alternativo di sentenza” che, nell’interpretazione ormai abbandonata dell’art. 342 c.p.c., il difensore dell’appellante doveva redigere nell’atto di impugnazione; se non altro riassegnando ai protagonisti del processo d’appello i loro rispettivi ruoli: quello del giudice al giudice, e quello dell’avvocato all’avvocato.
Buona lettura.